Costi, Tariffe, Prezzi, per scoprire infedleta coniugale a Milano? Infedelta Coniuale-Costi-Prezzi-Tariffario-Parcella
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Infedeltà coniugale Separazione
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Cos'è l'infedeltà coniugale?
Per infedeltà coniugale si intende quella situazione in cui uno dei due coniugi intreccia con un'altra persona una relazione amorosa, anche di breve durata
La giurisprudenza ha recentemente affermato l'obbligo di fedeltà coniugale. L'inosservanza, l’infedeltà virtuale, platonica, il tradimento, l’adulterio, l’addebito, l’infedeltà coniugale oltraggiosa della dignità della persona sono motivo di addebito della separazione.
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Di seguito riportiamo alcuni casi trattati e sentenze relative all’infedeltà coniugale:
La giurisprudenza di recente, ha ancora affermato che, in tema di separazione tra coniugi, l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale rappresenta una violazione particolarmente grave, la quale, determinando normalmente l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi, di regola, circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge responsabile.
L’infedeltà può essere causa dell’addebito della separazione solo quando risulti accertato che ad essa sia, in fatto riconducibile, la crisi dell’unione, mentre il relativo comportamento (infedele), se successivo al verificarsi di una situazione di intollerabilità della convivenza, non è, di per sé solo rilevante e non può, conseguentemente, giustificare una pronuncia di addebito (Cassazione 8512/06).
Una volta accertati i presupposti oggettivi per la pronuncia della separazione, e cessata di fatto la convivenza, non possono logicamente più assumere rilievo i comportamenti successivi del coniuge separato, anche se, in ipotesi, idonei a giustificare una dichiarazione di addebitabilità, posto che l'addebito trova la sua collocazione esclusivamente nel quadro della separazione, come responsabilità causativa dell'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, e non ha quindi ragion d'essere allorché, la convivenza è cessata (Sezione prima, 6566/1991, rv. 506098).
La violazione degli obblighi di assistenza, fedeltà e collaborazione matrimoniale
Il matrimonio disciplinato dagli artt. 143 e seguenti del c.c. prevede precisi obblighi a carico dei coniugi. Con il matrimonio, il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri, e dallo stesso deriva l'obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell'interesse della famiglia e alla coabitazione.
In relazione ai doveri di assistenza e di collaborazione, entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia.
La violazione di predetti obblighi determina una responsabilità valevole ai fini del riconoscimento del coniuge a cui sarà addebitata la causa della separazione.
Infatti, il coniuge ritenuto responsabile della separazione potrebbe essere obbligato a versare l’assegno di mantenimento in favore dell’altro coniuge (o anche gli alimenti e, in presenza di prole dovrà lasciare la propria abitazione all’altro coniuge a cui il giudice affiderà i figli).
In presenza di condotte violente pregiudizievoli dell’integrità psichica e fisica causative della separazione, il giudice può disporre l’allontanamento dalla casa coniugale del coniuge resosi responsabile, come anche negare l’affidamento condiviso dei figli, o, nei casi più gravi, dichiararlo decaduto dalla potestà parentale.
Cosa accade invece quando i coniugi vivono una condizione di separazione di fatto?
Innanzitutto, vi è da precisare che tale situazione non è considerata dall’ordinamento giuridico italiano che da sempre predilige il rapporto matrimoniale rispetto alle coppie di fatto e alle separazioni di fatto dall’altro.
In quest'ottica, dunque, la separazione di fatto non fa venire meno gli obblighi matrimoniali ed il giudice può essere chiamato a statuire nel successivo giudizio di separazione potendo non rilevare il comportamento “di fatto” da separati che i coniugi avevano instaurato in casa.
Ed ecco che accanto alle conseguenze sopra richiamate, se da un lato il coniuge non può chiedere il mantenimento all'altro in assenza di un provvedimento di separazione emesso dal giudice, dall'altro si aggiungerebbe anche la violazione dell'art.570 c.p. qualora uno dei due interrompesse il mantenimento in favore della famiglia
I beni ereditati dal coniuge rientrano nella comunione legale?
Il codice civile elenca all’art. 179 c.c. i beni personali, cioè tutti quei beni che NON entrano a far parte della comunione legale e che sono:
• i beni di proprietà di ciascun coniuge prima delle nozze
• i beni acquistati per successione e donazione dopo le nozze
• i beni di uso strettamente personale
• i beni che servono all’esercizio della professione
• i beni ricevuti a titolo di risarcimento del danno
• i beni acquistati con il ricavato della cessione di altri beni personali.
Se si tratta di beni immobili o beni mobili registrati perché non cadano in comunione è necessario che sia espressamente dichiarato nell’atto, e all’atto partecipi anche l’altro coniuge.
Ne consegue che non rientrano nella comunione legale i beni ereditati da uno dei coniugi.
E’ ammissibile la richiesta di affido esclusivo in presenza di una sindrome da alienazione parentale?
La condotta di uno dei genitori tesa a screditare l’altro dinanzi al figlio causandone l’allontanamento, meglio nota come sindrome da alienazione parentale dei figli, costituisce danno irreparabile da essi subito per la privazione del rapporto con il genitore ingiustamente screditato, ed è perciò causa di affido esclusivo.
Può costituire reato la condotta del genitore che non rispetta il provvedimento di affidamento della prole?
Integra il reato di cui all’art. 388 c.p., comma 2, concernente la mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, ovvero l’elusione di un provvedimento del giudice relativo all’affidamento di minori, il coniuge che ostacola la corretta esecuzione delle regole sull’affido. “Il concetto di elusione non può equipararsi puramente e semplicemente a quello di inadempimento, occorrendo, affinché possa concretarsi il reato, che il genitore affidatario si sottragga con atti fraudolenti o simulati, all’adempimento del suo obbligo di consentire le visite del genitore non affidatario, ostacolandole, appunto, attraverso comportamenti implicanti un inadempimento in mala fede o non riconducibile a una mera inosservanza dell’obbligo” (C. P., sent. n. 23274/2010).
Il genitore disoccupato è obbligato al mantenimento?
Il genitore disoccupato, ma con una generica capacità lavorativa, è obbligato al versamento dell'assegno di mantenimento in favore del figlio. L'ammontare varia a seconda del contesto economico territoriale: la prassi dei tribunali vede una quantificazione di 150/250 euro mensili.
E' legittimo l'affidamento del figlio al convivente che mantiene la residenza nella stessa abitazione?
Si tratta di valutare l'ammissibilità della richiesta di affidamento della prole, nata da una unione di fatto, da parte di un genitore che non ha preso le distanze dall'altro, che mantiene la stessa residenza e condivide la quotidianità continuando a soggiornare nella comune abitazione.
La disposizione dell’art. 317 bis cod. civ. è molto chiara, laddove, al comma 1°, dispone che per i figli naturali l’esercizio della potestà genitoriale “spetta congiuntamente ad entrambi qualora siano conviventi”. Solo nel caso di cessazione della convivenza la potestà spetta al genitore con il quale il figlio convive ed, al contempo, diviene possibile che un giudice (Tribunale per i minorenni) emetta una pronuncia sul tema dell’affidamento.
Con l’approvazione della L. 54/2006 è stato posto il quesito se sia possibile ottenere dal Tribunale per i minorenni una decisione sull’affidamento del figlio e sull’assegnazione della casa familiare nel momento in cui la convivenza tra i genitori sia ancora in atto, così come è consentito ai genitori uniti in matrimonio ricorrere al giudice della separazione senza che la parte che assume l’iniziativa debba necessariamente lasciare l’abitazione familiare.
Effettivamente, in qualche ipotesi molto particolare, la persona convivente potrebbe trovarsi in una stato di soggezione talmente serio, da non poter chiedere l’intervento del giudice in ordine all’affidamento dei figli, con il rischio di doversene temporaneamente allontanare, pur potendo trattarsi, in ipotesi, del genitore più adeguato, tra i due, ad assumere il ruolo di affidatario o collocatario.
Sembra, pertanto, esservi lo spazio per individuare una situazione per così dire “residuale”, per i casi nei quali pur protraendosi la convivenza more uxorio possa ritenersi rigorosamente provato che al dato puramente “anagrafico” della utilizzazione comune dell’immobile non corrisponde in alcun modo la condivisione di un progetto familiare, quella comunanza di intenti e vicinanza sul piano psicologico e affettivo che caratterizzano anche la famiglia di fatto (distinguendola da una semplice compresenza nello spazio abitativo, che può verificarsi anche per ragioni che nulla hanno a che vedere con la sfera dei sentimenti). Trib. Min. Torino 22 maggio 2008.
Quando interviene il Tribunale dei Minorenni?
Quando ci si imbatte in un conflitto familiare o anche tra conviventi ed in entrambi i casi con figli minorenni, ci si chiede quale sia l'autorità competente.
Ad esempio, spetta al Tribunale dei Minorenni il compito di disporre misure di varia portata a protezione del minore in presenza di condotte pregiudizievoli da parte degli esercenti la potestà genitoriale, tra le quali rientrano, anche le violenze e gli abusi sessuali (artt. 330, 333 e segg. cod. civ. e l. n. 184/1983 modif. dalla l. n. 149/2001).
Ma non solo, la Corte di Cassazione ritiene sussista la competenza del Tribunale dei Minorenni anche in ordine all'emanazione di un provvedimento concernente l'affidamento e il mantenimento della prole.
Ed infatti, la legge sull'affido condiviso e sull'esercizio della potestà in caso di crisi della coppia coniugata, si applica anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati (Cass. Civ., ord. n.8362/2007).
In tema poi di provvedimenti sul mantenimento dei figli naturali, la Cassazione ha ritenuto rispettoso del principio di razionalizzazione della materia, come introdotto dalla modifica ex art.155 c.c., l'attribuzione di tale questione al medesimo giudice che si trovi ad occuparsi dell'affido.
Il giudice che si trovi a giudicare sulla potestà ex art.317 bis c.c., nei procedimenti relativi a genitori non coniugati, ha una cognizione globale sui figli naturali, nel senso che potrà adottare sia i provvedimento sull'affido della prole, ma anche quelli di natura patrimoniale circa la misura e il modo della contribuzione patrimoniale, laddove questi profili vengano sollevati nel medesimo procedimento in cui sono avanzate richieste di affido.
Per quanto concerne i poteri istrittori del Trib. dei Min., devono intendersi ricompresi nel suo alveo giurisdizionale i poteri sanzionatori di cui è titolare il giudice della separazione ex art.709 ter c.p.c. (conseguenti ad inadempienze dei genitori).
Il convivente non può essere cacciato di casa alla fine del rapporto?
Quando finisce l’amore il partner non può essere buttato fuori casa dall'oggi al domani anche se la casa è di proprietà dell’altro.
Le ragioni a tutela del coniuge non titolare dell’abitazione vanno ravvisate nel legame affettivo e di fatto che i partners instaurano di comune accordo e che assume il nome di famiglia di fatto.
Ebbene tale nucleo “è compreso tra le formazioni sociali che l'art. 2 della Costituzione considera come la sede di svolgimento della personalità individuale” in cui “il convivente gode della casa familiare, di proprietà del compagno o della compagna, per soddisfare un interesse proprio, oltre che della coppia, sulla base di un titolo a contenuto e matrice personale la cui rilevanza sul piano della giuridicità è custodita dalla Costituzione, sì da assumere i connotati tipici della detenzione qualificata”.
Secondo la giurisprudenza di legittimità il convivente non è un ospite che deve essere messo alla porta all'improvviso. Ciò beninteso “non significa pervenire ad un completo pareggiamento tra la convivenza more uxorio e il matrimonio, contrastante con la stessa volontà degli interessati, che hanno liberamente scelto di non vincolarsi con il matrimonio proprio per evitare le conseguenze legali che discendono dal coniugio”.
Tuttavia stante l’assenza di un giudice della dissoluzione del ménage, non è consentito al convivente proprietario, di ricorrere alle vie di fatto per estromettere l’altro dall’abitazione, perché il canone della buona fede, della correttezza dettato a protezione dei soggetti più esposti e il principio di affidamento, impongono al legittimo titolare che intenda recuperare l’esclusiva disponibilità dell’immobile, una volta cessato il legame affettivo, di avvisare il partner e di concedergli un termine congruo per reperire altra sistemazione (Cassazione con la sentenza della II Sezione civile 7214/2013).
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